I lavori nel Monte Bianco costeranno al Nord-Ovest 11 miliardi di Pil
Lo stop a singhiozzo per 18 anni della circolazione dei mezzi nel traforo tra Italia e Francia produrrà un calo del 5,4% del Pil di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. Interventi necessari per rifare la volta della galleria. Confindustria rilancia: “Si faccia la seconda canna”
ROMA — Uno stop a singhiozzo che costerà 11 miliardi di euro. A tanto ammonta l’impatto che avrà sul Pil del Nord-Ovest la chiusura del Tunnel del Monte Bianco per più di tre mesi all’anno per 18 anni consecutivi. Un primo stop già nel 2023, dal 4 settembre fino al 18 dicembre, per iniziare a rifare la volta in cemento armato dei dodici chilometri di galleria tra Italia e Francia. Altro stop nel 2024 e poi fino al 2040 per completare tutta l’opera. Un intervento dilazionato, che ha un costo di circa 500 milioni, necessario, ma per l’associazione delle imprese della Valle d’Aosta, del Piemonte e della Liguria gli effetti sono pesanti. A calcolare la riduzione del Pil è la stessa Confindustria: i 72 mesi di blocco della circolazione provocheranno un calo del Pil del 9,8% in Valle d’Aosta, mentre il Nord-Ovest dovrà assorbire una flessione negativa del 5,4%. Quasi 11 miliardi in 18 anni. “Penalizzare una zona cosi strategica per la produzione e per l’export – dice il presidente di Confindustria Piemonte, Marco Gay – vuol dire penalizzare l’Italia intera”. Questione su cui pure il numero uno di viale dell’Astronomia, Carlo Bonomi, era intervenuto a inizio anno in pressing sul governo: “Chi si deve occupare del traforo del Monte Bianco? È una questione della Valle d’Aosta o è un tema italiano?”. Il presidente degli industriali della Valle d’Aosta, Francesco Turcato, aggiunge che si tratta di “un incubo, di un buco nero, con chiusure inevitabili di aziende, perdita di posti di lavoro ed effetti anche sul comparto turistico”.
Oggi sono 4.600 i transiti al giorno, poco meno di 1,7 milioni l’anno. “Lo stop a rate ci darà il colpo di grazia”, dice Turcato. E si chiede: “Perché non realizzare la seconda canna, senza interrompere il traffico, e dopo intervenire su quella storica?”. Il progetto c’è. Ed anche i soldi. A disposizione 1 miliardo. Dopo l’incendio del 1999, che provocò 39 morti e la chiusura fino al 2002 per mettere in sicurezza la galleria, una quota del pedaggio è stata accantonata. La galleria sarebbe pronta in cinque anni. La Francia, però, dice no. Gli esempi contrari, invece, non mancano, come la seconda canna del Frejus – in Piemonte il tunnel bis sarà pronto a inizio 2024 per cercare di contenere la ricaduta dalla Valle d’Aosta – o il raddoppio del Gottardo. Dall’altra parte delle Alpi, a Chamonix, temono la crescita dei Tir: “Mettiamo un tetto al transito”, rilancia Turcato. E Gay aggiunge: “Accantonare il progetto del secondo tunnel è irragionevole. Il governo deve intervenire”. Il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, a luglio aveva detto: “Cercheremo di convincere i francesi a fare la seconda canna”. E a fine settembre, in occasione della Conferenza Intergovernativa Italia-Francia sul Colle di Tenda, l’idea è di passare dalle parole ai fatti.
Lo stop del 2023 (e quello del 2024) servono alla Società Italiana del traforo Monte Bianco per calibrare gli interventi. Ed è in corso anche uno studio del centro Siscon del Politecnico di Torino. “Si potrebbero studiare lavori diversi, più puntuali, come i “cerotti” sulle volte utilizzati da Autostrade nelle sue 900 gallerie”, sottolinea il professor Bernardino Chiaia che considera la seconda canna una soluzione più sicura. E il governatore della Valle d’Aosta, Renzo Testolin, dopo la frana che a Modane in Francia ha provocato la chiusura del Frejus, rilancia l’opzione raddoppio: “La soluzione della seconda canna del Bianco, soprattutto in situazioni di interruzioni di altri tunnel alpini, emerge ancora più necessaria rispetto a quella che poteva essere una supposizione di alcuni mesi fa”.